Dopo le recensioni ai tre tasselli che per ora compongono La vertigine del caso, I Bookanieri
mi hanno fatto alcune domande sulle cabine spalma-crema, sul
personaggio di Mic, sulla lingua che utilizzo, sulla mia esperienza come
editore con Il principe costante, su cosa c'è dietro la scelta di
dividere questo progetto in movimenti. Qui di seguito trovate le mie risposte e il link al blog.
Oggi si conclude il percorso che abbiamo intrapreso alcune settimane fa in compagnia di Vanessa Chizzini. I suoi tre libri (L’eleganza matta, Vertigini e stravedimenti e Questo nostro mondominio), che abbiamo letto e apprezzato, fanno parte di un progetto (La vertigine del caso) che ha qualcosa di speciale. Abbiamo quindi provato a conoscere meglio questa autrice e il suo lavoro attraverso un’intervista.
L’invenzione della cabina spalma-crema, che anima il primo movimento de La vertigine del caso, è davvero originale ed unica. Da dove è nata questa idea? È legata a qualche evento in particolare?
L’idea è nata nella realtà in modo molto simile a quanto racconto ne L’eleganza matta.
È venuta quasi da sé un luglio di qualche anno fa, come reazione alla
poca voglia di mettersi la crema solare, che pure ormai è un gesto di
prevenzione sempre più indispensabile. Non sarebbe incredibilmente più
comodo, e anche più divertente e appagante, avere un dispositivo simile a
un autolavaggio che ce la spalma addosso tramite due belle spazzole
morbide che ci avvolgono regalandoci un abbraccio e un massaggio? Ecco,
da un simile pensiero scherzoso ha cominciato a delinearsi la cabina
spalma-crema,trovando la sua naturale collocazione all’interno di un
racconto, perché cosa di meglio ci poteva essere per un’idea del genere
se non prendere forma in una dimensione letteraria, che la trasformasse
in un’esperienza mentale, quasi metafisica? Però fin dall’inizio è stata
anche una cosa estremamente concreta, un oggetto immaginario ma
“fisico”, e perciò l’ho messa a punto stabilendo tutti i dettagli: la
grandezza, il funzionamento, i materiali, come se fosse la descrizione
di qualcosa che avevo effettivamente visto in uno stabilimento balneare.
La cabina spalma-crema è diventata un brevetto. Questo ha
permesso di rendere reale la sua storia e di toccare con mano ciò che la
compone. Come è arrivata ad ottenerlo e pensa che la cabina sarà mai
disponibile sul mercato?
Il brevetto è stato un po’ una sfida, una scommessa, che ho
affrontato dietro sollecitazione di alcune persone che avevano letto L’eleganza matta
ed erano rimaste entusiaste delle cabine spalma-crema. Perché non
pensare di portarle dalla fantasia alla realtà? Io ho trovato stimolante
questa prospettiva “rovesciata”, vale a dire non il fatto che ci fosse
qualcosa che dalla realtà diventava un elemento di finzione, ma il
contrario, che un’invenzione letteraria avesse le potenzialità di
trasferirsi nella realtà. In un certo senso succede continuamente con i
personaggi e le ambientazioni di cui ci innamoriamo, ce li portiamo
dietro, dialoghiamo con loro, rivediamo un determinato paesaggio.
Diciamo che questa volta, naturalmente dopo aver effettuato una serie di
studi e aver prodotto delle descrizioni più tecnicamente approfondite
(insieme a Valeria Ravera, che è mia complice in tutta quest’avventura e
segue il mio lavoro letterario da editor), un analogo passaggio dalla
finzione alla realtà l’ha fatto anche il ministero dello Sviluppo
economico decretando che la cabina spalma-crema è un’invenzione
industriale, il che è indubbiamente singolare!
Io poi trovo in generale interessante quando un testo ha la
possibilità di germinare altre cose, e in questo caso non c’è solo il
brevetto. C’è la canzone Stravedimento (contenuta in Vertigini e stravedimenti, che poi Alessandro Arbuzzi ha musicato e cantato: https://www.youtube.com/watch?v=BMhR_0Erdn4),
c’è l’illustrazione di Guendalina Ravazzoni ispirata alle cabine
spalma-crema che ne restituisce tutta la suggestione. Un’opera per me
deve essere, oltre che qualcosa di finito, anche un punto di partenza…
Ma da qui a pensare o sperare che le cabine spalma-crema possano davvero
essere realizzate ce ne vuole: un po’ perché è un altro lavoro e
tutt’altro ambiente da quelli miei abituali, un po’ perché probabilmente
bisognerebbe dedicarci molto tempo e invece ce n’è sempre poco, e un
po’ perché non esiste nessuno che realizzi qualcosa di simile (a livello
di struttura e meccanismi) a cui proporlo. Però che quella che è nata
come un’invenzione letteraria finisca per ottenere un brevetto per
invenzione industriale, e venga dunque “legittimata” anche da questo
punto di vista,è comunque divertente, degno di nota, stimolante.
Parliamo di Mic, così diversa e problematica. Da dove nasce l’esigenza di dare vita a un tale personaggio? E perché?
La risposta che mi viene spontanea è: da dove venga Mic non lo so.
Dico questo perché non è frutto di un calcolo, di un ragionamento, di
un piano deciso a tavolino. Il personaggio è nato da sé, insieme alle
cabine, insieme a Sam. Sicuramente Mic mi assomiglia (ma io spero di
essere un po’ meno “problematica”) e forse quello che mi interessava era
trasferire al personaggio un’attitudine all’osservazione, uno sguardo
sul mondo che rimanesse un po’ defilato, scettico, costantemente
interrogativo. In fondo una delle cose che fa più spesso Mic è porsi
domande, ma è quello che facciamo tutti, più o meno inconsciamente e
approfonditamente, in ogni momento della nostra vita (“Cosa sta
succedendo?”, “Cosa accadrà?”, “Cosa devo fare?”, “Mi posso fidare?”),
anche se forse tendiamo a soffocare e minimizzare tutte queste domande
esponendoci a mille stimoli e alle tante attività che riempiono le
nostre vite. Ecco, Mic le riporta alla luce.
Posso però svelarvi una cosa? Voi parlate di Mic al femminile, ma nei
miei testi non viene mai specificato il genere di Mic e Sam, né la loro
età o professione. La maggior parte dei lettori attribuisce d’istinto
un genere al personaggio, e va benissimo. La letteratura funziona così:
chi scrive racconta una serie di cose, chi legge interpreta quel che
viene detto e immagina il resto. Non per niente si parla del ruolo
fondamentale ricoperto dal lettore, che in un certo senso è sempre un
po’ autore insieme allo scrittore, perché interpreta e colma le lacune.
Qualcuno leggendo La vertigine del caso si rende conto che
alcune cose di Mic e Sam non sono specificate (non c’è nemmeno una loro
descrizione fisica, ad esempio). La maggior parte dei lettori si immerge
in quel che legge, com’è auspicabile che sia, e riempie i non detti:
così per qualcuno Mic e Sam sono due ragazze, per altri due ragazzi, ma
c’è anche chi ha visto Mic come una ragazza e Sam come un ragazzo, o
viceversa. (Naturalmente uso il termine “ragazzo” in senso ampio per
intendere una persona che può avere venti come settant’anni.) È
interessante, credo che la cosa meriterebbe una riflessione a parte…
All’interno dei romanzi, vi sono diverse chicche
linguistiche, come “stravedimenti” o “mondominio”. Ci spieghi la scelta
di queste curiose parole e soprattutto perché.
Le parole sono uno dei mezzi attraverso cui conosciamo e interagiamo
con il mondo e mi sembra importante che alcune di tanto in tanto ci
costringano un po’ a ripensare il nostro orizzonte. Anche una volta
diventati adulti, quando abbiamo la presunzione di sapere già tutto
quello che ci serve.
Per questo mi piace quando le parole ci impongono un piccolo stop. I
neologismi, in questo senso, possono funzionare bene. In realtà, quelle
che voi citate non sono miei neologismi, bensì due termini preesistenti:
“stravedimento” è una parola di area veneziana e indica un
fenomeno ottico che in determinate giornate particolarmente terse fa
sembrare incredibilmente vicine montagne che nella realtà sono lontane
(nella canzone contenuta in Vertigini e stravedimenti dico “Lo stravedimento è un passo dell’andare / quando vediamo le montagne dentro il mare”), mentre il “mondominio”
viene intenso come un palazzo (un condominio) in cui convivono persone
provenienti un po’ da tutto il mondo, anche se io uso la parola dandole
il significato di condomini che contengono, più che appartamenti, dei
luoghi in cui le persone creano interi mondi.
In un testo teatrale che avevo precedentemente scritto, Le nuvole nel piatto, c’era invece un neologismo, “nuvoloseggiare”, che in qualche modo c’entra con questo discorso. Le nuvole nel piatto
era giocato sulla contrapposizione tra un personaggio con un
atteggiamento esistenziale più concreto (Caterina) e quelle che lei
chiama “le nuvolose” (sua figlia e sua sorella), che sono quel genere di
persone con la testa tra le nuvole, sempre a immaginare di buttare
tutto all’aria, sempre a sognare di fare una qualche rivoluzione. Nel
corso della pièce Caterina nota con un certo disappunto che le due
nuvolose sono meno combattive e anticonformiste del consueto, e con una
di loro c’è questo dialogo:
«Non dirmi che hai alzato bandiera bianca…»
«Cerco solo di essere realista.»
«Davvero? Sarà perché non nuvoloseggi più.»
«Nuvoloseggi… Voce del verbo nuvoloseggiare?»
«Proprio così, voce del verbo nuvoloseggiare.»
«Che significa?»
«Alzarsi da terra, liberare il pensiero, immaginare cose nuove e scendere giù a pioggia.»
Ecco, giocare con le parole corrisponde un po’ a nuvoloseggiare, e
farlo può aiutarci a scorgere una nuova possibilità o a farci nascere un
dubbio, che (ormai si sarà capito) io e Mic reputiamo una grande
risorsa.
Come ha vissuto l’esperienza di dover gestire da sé una piccola casa editrice come la Principe Costante Edizioni? E come è riuscita a coniugare quest’impegno con il lavoro che svolge per altri editori?
Uno degli aspetti più affascinanti ed entusiasmanti di una minuscola realtà com’era Il principe costante
è che ci si occupa in prima persona di tutto ciò a cui ci si deve
dedicare in una casa editrice: dall’ideazione di libri e collane al
rapporto con gli autori, dalla progettazione grafica all’impaginazione e
alla redazione, dalla gestione del magazzino alla distribuzione. Si
impara, insomma, a fare un po’ di tutto. Questo significa che era un
impegno totalizzante, che si mangiava tutto il tempo libero lasciato
dalle collaborazioni editoriali che sono il mio lavoro principale, ed è
anche la ragione per cui, a un certo punto, l’avventura si è conclusa.
Però, certo, quella del Principe costante è stata un’esperienza
cruciale per me che non solo continuo a lavorare nell’editoria ma che
per il mio progetto ho scelto la strada del selfpublishing,
perché mi ha consentito di maturare un approccio a 360 gradi all’oggetto
libro e ad acquisire tutta una serie di competenze e di consapevolezze.
Ecco perché mi fa inevitabilmente un po’ sorridere chi liquida a priori
il selfpublishing tacciandolo di dilettantismo… Come sempre nella vita, ogni caso fa storia a sé.
Ogni suo romanzo si divide in lato A e in lato B. Come mai
questa scelta? Vi è un particolare significato che coinvolge l’idea del
movimento?
Io dico che il mio è un “progetto letterario in movimento”, sia
perché è in divenire, sia perché il movimento è la sua unità di misura.
Avrei potuto dividerlo semplicemente in libri o volumi, ma il movimento è
un po’ come se fosse il filo rosso, l’atmosfera, il mood che risuona
nell’aria: tematicamente e stilisticamente lato A e lato B
si assomigliano, si completano, girano intorno alle stesse questioni,
magari da punti di vista differenti, in modo più leggero o più profondo…
Dopodiché mi pongo sempre l’obiettivo che ogni singolo segmento sia
in sé concluso, cosicché possa venire letto anche separatamente (e
quindi solo L’eleganza matta, o solo Vertigini e stravedimenti, o solo Questo nostro mondominio)
o in ordine diverso, senza aver bisogno di affrontare necessariamente
l’intero progetto. Però è ovvio che il lavoro procede anche per rimandi
interni e stratificazioni di senso, e quindi una lettura completa offre
una gamma di significati più ampia. L’obiettivo è creare un universo
narrativo, nella speranza che poi chi si vi imbatte senta il desiderio
di tornare a immergersi in quel mondo e incontrare di nuovo i vari
personaggi che lo abitano.
Ringraziamo Vanessa Chizzini per la grandissima disponibilità e per averci coinvolto in questo progetto.
Ilaria Amoruso
Irene Cambriglia
Giovanna Nappi
Irene Cambriglia
Giovanna Nappi
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