sabato 29 ottobre 2016

Recensione de La vertigine del caso su Il mio mondo inventato

Secondo Chiara Nicolazzo del blog Il mio mondo inventato, La vertigine del caso «propone una narrazione “nuova”, “innovativa”» ed è uno di quei libri «che devono essere letti con la consapevolezza che tu, lettore, devi porti nei suoi confronti in maniera attiva, entrare dentro i pensieri di Mic e scatenarne di nuovi, in un continuo dialogo con i personaggi delle storie».
Qui di seguito il pezzo relativo a La vertigine del caso.

#3. La vertigine del caso di Vanessa Chizzini
Il terzo libro di cui voglio parlarvi oggi è, invece, quello che di più tra tutti mi ha dato l’impressione di essere un libro “impegnato”, uno di quelli che va al di là della storia che contiene e si pone come pretesto per riflettere sulla vita, sulla nostra identità, sulle nostre percezioni. Il libro è suddiviso in due racconti lunghi, i cui protagonisti sono sempre li stessi. Nel primo racconto, intitolato L’eleganza matta, troviamo Mic e Sam, due amici che si concedono un weekend al mare in occasione dell’inaugurazione delle cabine spalmacrema.

Pensare non è altro che prepararsi. Disegnare una mappa, stabilire un percorso, e un piano di riserva nel caso in cui le cose dovessero andare storte. O salvarsi con la fantasia, immaginando uno scenario che ci corrisponda più di quello reale e magari provando, giorno dopo giorno, a mettere in atto le nostre rivoluzioni, grandi e piccole. Sempre con la convinzione che siano belle, ancora con la speranza che possano essere non violente. Temo che qualcosa nella mia vita sia da cambiare. Ci vorrebbe un’idea, ma tutto quel che posso fare è pensare. Correggere la mappa. Forse si tratta solo di orientarsi meglio, magari di girarsi di qualche grado verso il sole. O di ripararsi all’ombra.

Qui conoscono Adriana, una vedova arzilla ancora profondamente legata al suo defunto marito, con la quale stringono amicizia. Ritroviamo, infatti, i personaggi nel secondo racconto lungo, intitolato Vertigini e stravedenti, quando i tre decidono di trascorrere un weekend a Venezia, tra mostre e calli piene di gente.

L’identità è un treno del passato che si muove nel presente. Gli altri vedono quello che siamo stati e quasi mai quello che siamo, anche se a volte il passato e il presente quasi coincidono e l’immagine riflessa ci corrisponde ancora. Siamo una locomotiva d’epoca, e il meglio che si possa dire di noi è che siamo messi a nuovo e tirati a lucido, più splendenti dei treni con l’aria condizionata e il wi-fi, più affascinanti perché abbiamo molto viaggiato e molto vissuto, e abbiamo visto chissà quanti posti e persone, e chissà quante cose abbiamo da raccontare.

La Chizzini propone una narrazione “nuova”, “innovativa”- non so quale termine scegliere tra i due – rispetto a quello che leggo abitualmente, nel senso che si tratta di due racconti completamente indipendenti tra di loro, ma, se guardati da un’altra prospettiva, anche complementari: possono essere intesi come racconti a sé, con un inizio, uno svolgimento e una fine, ma anche come passi di un percorso più lungo che non si sa dove porterà il lettore. La vertigine del caso è, infatti, il  primo movimento di un progetto che l’autrice non sa quanto andrà avanti e neanche dove porterà. Il lettore, quindi, si ritrova in un percorso in itinere, dove il weekend al mare e quello a Venezia, con le esperienze che comportano, altro non sono che espedienti grazie ai quali Mic scatena le sue riflessioni più profonde. Riflessioni che hanno a che vedere con la felicità, la diversità, le scelte di vita, i rapporti tra le persone, i ricordi. Credo che questo sia uno di quei libri che non sono alla portata di tutti e che devono essere letti con la consapevolezza che tu, lettore, devi porti nei suoi confronti in maniera attiva, entrare dentro i pensieri di Mic e scatenarne di nuovi, in un continuo dialogo con i personaggi delle storie.


In questa domenica di metà agosto risalgo felice le montagne, mi aggrappo alla roccia, guardo verso il basso e mi dondolo in un moto alternato di vertigini e stravedimenti. Le montagne sono dentro il mare, in un grumo del tempo dove la scoperta è giovinezza e la giovinezza, come l’infanzia, è una stagione che torna e a volte non se ne va, uno di quei momenti che non pensano al futuro perché sono in se stessi futuro, un oggi proiettato nel domani come una goccia di luce azzurrata che cade regolare e cadenza le bracciate, che mi porta sempre un po più in là e mi avvisa di andare piano, mentre l’acqua si increspa e fa tremolare l’immagine di me e della città che vi si riflette, e ci mette in salvo dagli sguardi di chi ci vorrebbe racchiudere in un’unica occhiata moltiplicandoci come in una scomparsa, come negli sdoppiamenti che precedono gli svenimenti, come nelle confusioni che preparano le rivelazioni.
Per leggere lintero articolo:

giovedì 27 ottobre 2016

Vertigini veneziane #04


La ‘anomala normalità’ de “La vertigine del caso”

Irma Loredana Galgano ha letto La vertigine del caso e sul blog Liberi di scrivere ne parla con me.

Buongiorno Vanessa. Lei si forma al Dams di Bologna e poi sceglie di lavorare in campo editoriale in un percorso che l’ha condotta, quasi per caso, alla ideazione di un ampio progetto di cui La vertigine del caso rappresenta il primo movimento. Qual è lo scopo che si è prefissata di raggiungere?
Non so se a questo progetto sono davvero arrivata “quasi per caso”. A me sembra faccia piuttosto parte di un percorso coerente, in cui l’interesse per la scrittura (mia e altrui) ha sempre avuto un ruolo centrale, tant’è vero che ho scelto di lavorare nell’editoria e in tempi abbastanza recenti ho scritto un testo teatrale, Le nuvole nel piatto... E poi è arrivato questo progetto. Sì, in questo senso è successo “quasi per caso”, perché non è stata una decisione presa a tavolino. È come racconto nel libro a proposito delle idee che ci vengono, a volte come un fulmine a ciel sereno: «Le idee in qualche modo vanno al di là della nostra volontà, lo so, sembrano seguire percorsi loro. Eppure sono nostre perché sono fatte della nostra vita. Noi poi possiamo ricostruire quel loro percorso e dire: “Ah, vedi, ho avuto quell’idea per questi motivi...” .»
Però non ho uno scopo ben preciso, ho semplicemente trovato congeniale la voce narrante di Mic (con Sam come spalla), così come l’angolo di osservazione della realtà che mi consente di avere. Mi piace il pensiero di andare a fondo, di disseminare i testi di spunti che piano piano verranno approfonditi, stratificandosi e arricchendosi via via di nuovi elementi e personaggi. Ad esempio, L’eleganza matta (il primo dei due racconti di cui si compone il primo movimento del mio progetto) presenta come personaggi principali Mic e Sam, con la signora Adriana che si affaccia alle loro spalle, ma poi in Vertigini e stravedimenti (il secondo racconto di questa prima tappa) la signora Adriana non solo torna ma diventa coprotagonista a tutti gli effetti.

Lei ha paragonato il primo movimento del suo progetto a un LP nel quale lato A e lato B si assomigliano e si completano. In realtà, leggendo il suo libro, si ha più l’impressione di osservare in sequenza i fotogrammi, dritto e rovescio, di una TAC della mente e dei comportamenti umani. La sua scrittura nasce dall’osservazione di ciò che la circonda?
Sicuramente, ma non solo dall’osservazione. Dall’osservazione e dall’immersione. Trovo che il punto di vista di chi si pone al di fuori delle cose rischi di essere sterile e velleitario. Nel libro c’è un momento in cui Mic, dopo aver osservato con un certo disprezzo un gruppetto di persone che fanno confusione in spiaggia, si riconosce suo malgrado in loro. E questo è anche il mio punto di vista. Non di chi si tira fuori ma di chi è bene in mezzo, anche se a volte – purtroppo o per fortuna – si sente un estraneo, ed è da questa prospettiva che non smette di osservare se stesso e gli altri e di farsi domande.

Mic e Sam sembrano, agli occhi di chi legge, dei lui, ma potrebbero anche essere delle lei. Perché ha scelto di giocare con questa evanescenza nelle figure dei protagonisti?
Perché ci sono delle cose in questi personaggi che non mi interessano e non mi paiono rivelanti. Il sesso biologico o l’identità di genere, l’età, la professione, la descrizione fisica… Non hanno importanza per le storie che voglio raccontare e per come le voglio raccontare. A lei sembrano dei “lui” però riconosce che potrebbero essere delle “lei” e questo è per me un dato molto interessante. Capita in effetti che alcuni lettori si accorgano che non viene specificato se si tratti di maschi o femmine, e invece altri lettori riempiono inconsapevolmente i buchi da me lasciati e si creano i loro Mic e Sam, che a volte sono entrambi maschi, a volte entrambe femmine, a volte uno maschio e una femmina, senza contare che uno o entrambi potrebbero essere gender fluid… Mi piace molto la parola che lei ha usato, “evanescenza”, perché è proprio così, un “vedo e non vedo”. Quel che non vedo e quel che non viene detto lo immagino. Non dovrebbe funzionare anche così con la letteratura e l’arte in genere?

La vertigine del caso ruota intorno all’idea delle “cabine spalma-crema”. L’immagine dei vacanzieri intenti a cospargersi di crema per proteggersi dai raggi ultravioletti è solo una delle tante a cui la mente rimanda leggendo i suoi racconti. Sono queste i simboli della eleganza matta che ci circonda?
L’eleganza matta, così come viene definita nel libro, ha a che fare con colpi di testa, quando si sovvertono equilibri e prudenze, e prevale un istinto vitale sulla logica. L’arte è indubbiamente “eleganza matta”. Ma naturalmente non solo. Lo sono anche le cabine spalma-crema, che possono sembrare un’idea folle, ma hanno tutte le caratteristiche che le possono portare a concretizzarsi (tanto è vero che, nella vita reale, sono diventate un brevetto per invenzione industriale).

La voce narrante è Mic, in vacanza con Sam per il weekend. Attraverso lui il lettore riesce a visualizzare le scene narrate. Situazioni tipiche di una vacanza qualsiasi nelle quali si inseriscono le scene finalizzate alla concretizzazione del suo progetto, come il legame con la signora Adriana e l’incontro con l’inventore islandese delle cabine spalma-crema. «Tutto d’un tratto mi sento islandese» dice Mic. E allora il lettore si chiede perché lei ha scelto di figurare nel libro nei panni di un uomo di origine islandese?
Be’, è vero che anch’io ho brevettato nella realtà le cabine spalma-crema come nel libro ha fatto l’inventore islandese, ma non era mia intenzione presentare in lui un mio alter ego. Caratterizzare l’inventore come islandese mi aiutava ad amplificare la perplessità iniziale di Mic, che a differenza di Sam si avvicina alle cabine con grande scetticismo e continua a chiedersi a chi sia potuta venire un’idea del genere. L’eleganza matta è anche un viaggio nelle idee (Mic a un certo punto dice: «Il percorso che porta dalla nascita dell’idea alla sua realizzazione è uno dei miei viaggi preferiti»), un’indagine che cerca di risalire indietro, al punto di inizio, e il fatto che quest’idea sia venuta a un inventore nato e residente in Islanda, paese dove la protezione solare non è certo un’esigenza pressante, allunga per così dire il percorso, aggiunge un altro punto di domanda, è una curiosità in più su cui Mic si interroga.

Le cabine spalma-crema descritte in L’eleganza matta ritornano anche in Vertigini e stravedimenti ma nella forma di una installazione in mostra alla Biennale. La visita all’installazione viene vissuta da Mic come un rituale di passaggio. Cosa ha voluto realmente rappresentare con questa descrizione?
Già ne L’eleganza matta le cabine spalma-crema, oltre a essere un guscio trasparente che ricorda un piccolo autolavaggio, assumono diverse forme a seconda dell’esperienza che ne fa Mic: all’inizio sono semplicemente un dispositivo che applica la crema solare, poi le loro spazzole finiscono per ricordare un orsacchiotto, successivamente sono un luogo in cui rientrare in contatto con la parte più vera di sé... In Vertigini e stravedimenti in fondo avviene un’altra trasformazione, questa volta di stampo artistico, che decontestualizza le cabine e così facendo sposta ulteriormente l’esperienza. C’è anche una sorta di rovesciamento, perché in qualche modo la cabina presente nell’installazione diventa il luogo in cui si lascia qualcosa, e dunque assume i contorni di un luogo della nostalgia. Si entra comunque in contatto con se stessi, ma si tratta di un sé che ci si è lasciati alle spalle. Per Mic diventa soprattutto un ammonimento.

Venezia, il suo Lido e tutta la laguna in genere sono associati, nell’immaginario collettivo, ai canali, ai palazzi, alla bellezza e all’eleganza. Le comparse di Vertigini e stravedimenti sembrano “sporcare” tutto ciò con il caos, come del resto i personaggi secondari de L’eleganza matta sembrano farlo nello stabilimento balneare che occupano. È anche questa la degenerazione del mondo moderno?
Be’, è la classica domanda da un milione di dollari... I pochi abitanti rimasti a Venezia probabilmente le direbbero che sì, il caos portato dai tanti turisti che ogni giorno affollano la città è una degenerazione del mondo moderno. Ma in Vertigini e stravedimenti Mic, Sam e la signora Adriana cercano di tenersi il più possibile alla larga dalle rotte più battute. La sua domanda mi ha fatto piuttosto pensare a un altro tipo di caos, che Mic descrive così: «Mi piacciono i percorsi che hanno un orientamento, un passo dopo l’altro, quando le novità non spuntano dal nulla, ma si cominciano a scorgere in fondo alla strada e piano piano prendono forma. Mi inquieto quando ci vedo tutti lì con le bende sugli occhi come se fossimo in un enorme cortile, ancora bambini, a giocare a mosca cieca. Anche se non siamo più bambini e non c’è più nessun cortile». Che poi questa sia una peculiarità del mondo moderno o una caratteristica dell’essere umano è un altro discorso...

Veniamo ora alla scrittura. Il suo stile è secco deciso colloquiale. Sembra quasi che non voglia lasciare spazio a pentimenti, risentimenti. Un taglio netto. È questo che rappresenta per lei l’intero progetto, una sorta di svolta in cui ha deciso, in un certo qual modo, di mettere a nudo la sua anima?
Non so se sia possibile scrivere senza mettersi a nudo, in un modo o nell’altro. Il che non significa che quanto si va scrivendo abbia un’impronta autobiografica. Ma se la voce di Mic mi è congeniale, sicuramente lo è anche perché esistono svariati punti di contatto tra me e il personaggio. Dopodiché non c’è solo Mic. La signora Adriana e Sam sono due figure ben diverse. Mi colpisce e mi coglie anche un po’ alla sprovvista quello che lei dice a proposito del fatto che il mio stile sembra non voler lasciare spazio a pentimenti e risentimenti. Sicuramente c’è una presa di posizione, un modo preciso di stare al mondo, uno sguardo ben delineato. Però io ho cercato di raccontare questo stare al mondo anche attraverso l’evocazione, senza appiattirmi sulla realtà nuda e cruda. Le cabine spalma-crema nascono come invenzione letteraria, e la nuotata nei canali veneziani è una pratica che quasi tutti sconsiglierebbero vivamente. Non per niente quest’ultimo è un elemento su cui nel libro Mic, Sam e la signora Adriana scherzano molto, ma poi la nuotata di Mic va oltre il dato di verosimiglianza, è un pretesto che permette alla narrazione di raggiungere un altro livello.

Il ‘viaggio’ viene simbolicamente visto come una metafora della vita. In un passaggio del testo si legge che uno dei sei artisti sul treno d’epoca, lo scrittore di Treviglio, vorrebbe «saltare giù, arrampicarsi verso una finestra, sedersi a tavola. È sera, fuori inizia a fare buio e noi non abbiamo ancora cenato». È un’immagine che rimanda all’idea di qualcuno che vorrebbe cambiare la situazione che sta vivendo in quel momento magari perché in cerca di una normalità che verrebbe vissuta come tranquillità. Cosa cerca davvero lo scrittore in quelle case dalle finestre basse fin quasi da poterci saltare dentro?
Probabilmente tutte le vite che non vive, non ha vissuto e non vivrà, ma su cui fantastica. L’immagine dell’edificio così vicino ai binari al punto che ci si potrebbe quasi saltare dentro è però presto sostituita dalla scoperta di cos’è in realtà quell’edificio, vale a dire una piscina. La piscina è un’altra forma di normalità, per tornare alla sua domanda, dentro ci sono le persone che nuotano e fanno lezione, ma è allo stesso tempo un mondo a parte, racchiuso da quelle mura, separato dal resto. È una normalità un po’ anomala. Ecco, forse è questo che mi piace raccontare, o una delle cose che mi piace raccontare: una anomala normalità.

Ma la locomotiva che ha accompagnato Mic e suoi compagni di avventura nasconde anche altri simboli da interpretare. Un viaggio nel tempo che rappresenta più un’ispezione nei meandri della mente umana o un’esplorazione accurata delle età della vita?
La locomotiva d’epoca che si blocca sui binari fuori Venezia, venendo in tal modo alla ribalta della cronaca e diventando centrale nella storia di Mic, Sam e della signora Adriana, rientra nel progetto di un festival, che ha deciso di farle percorrere la pianura padana con a bordo sei artisti appartenenti a diversi ambiti. Il tema di questo progetto è “Un viaggio nel tempo e nell’identità” e su questa suggestione i sei artisti devono produrre uno scritto. Ma è una questione che percorre tutto il libro: la riflessione sul tempo e sull’identità si mescola a quella sulla scomparsa (e di nuovo su tutte le vite che potremmo vivere), l’installazione alla Biennale di Venezia offre nuovi spunti con domande sulle stagioni e le diverse età della vita, che non sempre corrispondono ai dati anagrafici. Alla fine mi sembra che il vero filo rosso sia rappresentato proprio dal tema dell’identità.

La simbologia dell’elemento acqua è molto vasta ma una interpretazione ricorrente è il collegamento al liquido amniotico, al grembo materno, alla rinascita. Mic sembra ricercare questa sicurezza “dentro Venezia”, un luogo dove sembra che «tutto potesse rimanere sospeso. Sarà che non esistono momenti giusti o sbagliati». La nuotata lungo i canali di Venezia, eccezionalmente aperti ai bagnanti e chiusi alla navigazione, è per Mic la giusta occasione per una espiazione e una “rinascita”?
È soprattutto la giusta occasione per uno stravedimento. «Lo stravedimento è un passo dell’andare / Quando vediamo le montagne dentro il mare» scrive un altro dei sei artisti della locomotiva d’epoca componendo il testo di una canzone. Ed è esattamente quello che fa Mic: nuota nei canali veneziani in un continuo saliscendi tra tuffo e risalita che dà una sensazione “di montagna” e raccoglie dentro di sé l’esperienza di questo weekend, dall’installazione della Biennale con la cabina spalma-crema alle parole di Sam e della signora Adriana, dagli scritti dei sei artisti al fantasma di Ettore Majorana, e guarda dentro la sua e la nostra vita. «E allora vedremo dentro la nostra vita / In piedi sulla barca a farci ombra con le dita / Tra poveri gesti e grandi slanci / In bilico a un soffio dai crepacci / Paure dissolte in due respiri / Nell’aria tersa dei desideri.». E in fondo le paure dissolte in due respiri lasciano spazio all’eleganza matta dei colpi di testa...

Dove pensa che condurrà il lettore il secondo movimento del suo progetto?
A Milano, in un palazzo di ringhiera, a fare la conoscenza di nuovi personaggi...

Vanessa Chizzini: Nata a Udine. Laureata al Dams di Bologna. Lavora in campo editoriale. Ha fondato una casa editrice specializzata in cinema e teatro. Autrice di testi teatrali e racconti. Detentrice dei diritti sul brevetto industriale della “Cabina di fotoprotezione con spazzole rotanti”. Ha scelto di autoprodurre “La vertigine del caso”, il libro che raccoglie il primo ‘movimento’ del suo progetto.
Nota: autopubblicazione disponibile su Amazon.

La ‘anomala normalità’ de “La vertigine del caso”

mercoledì 19 ottobre 2016

Intervista con Ornella Nalon/Gli scrittori della porta accanto

Sul blog Gli scrittori della porta accanto faccio due chiacchiere con Ornella Nalon e parlo un po' di me e de La vertigine del caso.

Ciao Vanessa, benvenuta. Ti presento ai nostri lettori con quello che so di te. Sei originaria di Udine, hai preso la laurea al Dams di Bologna e poi ti sei trasferita a Milano per lavoro, dove ti sei fermata e vivi tuttora. Ora continui tu?
Direi che già così è un’ottima sintesi spazio-temporale della mia vita per come si è svolta fino a oggi. Possiamo aggiungere che a Bologna mi sono spostata in cerca di un ambiente più stimolante e che a Milano mi sono trasferita per il desiderio di lavorare nell’editoria. Nanda Pivano, quando l’ho incontrata vent’anni fa per la tesi di laurea, mi aveva avvisato di non farlo, di non lavorare nell’editoria, perché le persone sono sottopagate e l’ambiente non è sempre esaltante, suggerendomi di seguire una carriera giornalistica. Non so francamente, visto poi come sono cambiati gli organi d’informazione, se la strada giornalistica sarebbe stata davvero preferibile, ma se non ho seguito il consiglio di Nanda Pivano è stato semplicemente perché lavorare nell’editoria era l’unica cosa che mi interessava e l’unica che riuscivo a immaginare di fare. E sì, è vero, molto spesso si è sottopagati e mi è abbastanza chiaro il senso delle parole della Nanda, ma nonostante tutto ancora oggi è l’unico lavoro che vorrei fare.

Hai sempre lavorato nel mondo dell'editoria, con quali funzioni? Attualmente con quale casa editrice collabori? 
Ho iniziato lavorando in uno studio che si occupava soprattutto di editoria scolastica. Il primo incarico che mi è stato affidato è stato quello classico della correzione di bozze e dopo un po’ ho cominciato a occuparmi di redazione e di impaginazione. All’attività “sul campo” ho affiancato l’approfondimento per conto mio: la mattina sull’autobus e la sera al ritorno avevo sempre un libro sulla storia dell’editoria italiana, sulle regole tipografiche e sui programmi d’impaginazione, e insomma su “tutto quello che fa un libro”. Da qualche anno collaboro con la redazione dei Gialli Mondadori.

Nel 2001, pur continuando la tua solita professione, hai anche deciso di aprire una tua casa editrice di cinema e teatro, Il principe costante Edizioni, che hai gestito per dieci anni. Ci racconti di questa attività e il motivo per cui hai deciso di terminarla? 
Il principe costante è stato un’avventura bellissima, una minuscola casa editrice specializzata in cinema e teatro, immaginata, voluta e gestita da me e Valeria Ravera. È stata un’immersione totale nell’editoria, perché ci siamo occupate in prima persona di tutti gli aspetti: dalla direzione editoriale all’ideazione delle collane e delle copertine, dai progetti grafici dei libri al rapporto con gli autori, dalla redazione alla correzione bozze, dall’impaginazione alla gestione del magazzino (anche se ora la mia schiena risente del glorioso periodo in cui gli scatoloni di libri arrivavano ed erano da ritirare e smistare…). E ci ha regalato la possibilità di lavorare con artisti e studiosi che stimavamo e ammiravamo. Il principe costante è stato prima di tutto un impulso vitale, credo che sia questa la definizione migliore, un’attività in cui abbiamo riversato tempo energie passione gioia: era inevitabile che l’impulso piano piano si consumasse. Era fisiologico, non essendo un’attività economicamente redditizia (è alquanto improbabile che una casa editrice di quelle dimensioni e con quella specializzazione lo sia) e a cui dedicavamo il nostro tempo libero. Grazie all’apporto della stampa digitale (di cui siamo state tra le prime all’alba degli anni Duemila ad avvalerci per la stampa dei libri) che ci ha consentito di fare piccole tirature e dunque piccoli investimenti, è stata un’impresa sostenibile (per noi l’assunto fondamentale era con i proventi di un libro si pagassero le spese di quello successivo), ma un po’ alla volta il tempo libero e le energie sono stati reclamati anche da altro. Non è una storia triste la chiusura della nostra casa editrice, è stato solo il consumarsi dell’impulso che le aveva dato vita. Naturalmente non è stato tutto rose e fiori (ci sono stati, ad esempio, alcune librerie prima e il distributore poi che non pagavano), ma Il principe costante è stato l’espressione della nostra passione per i libri, il cinema e il teatro, ed è continuato fino a quando ce ne sono state le condizioni. Non avrei mai potuto curare la scrittura, non al livello che mi interessava, se avessi dovuto ancora occuparmi del “principe”.

A un certo punto, hai pensato bene di passare dall'altra parte della barricata e di metterti a scrivere. Hai iniziato con un testo teatrale, “Le nuvole nel piatto" che si è concretizzato in una lettura scenica al Teatro Manzoni di Calenzano, con attori del calibro di Laura Curino e Federica Fracassi. Come si suol dire: un esordio con il botto! Successivamente ti sei dedicata a un progetto di narrativa suddiviso in diversi movimenti che è tuttora in corso. Ci spieghi di cosa si tratta? 
Definirlo un progetto significa innanzitutto dire che non si esaurisce in un unico libro. “La vertigine del caso” è il nome che ho scelto per l’intero progetto e il volume che è uscito quest’anno è il primo. Io però, piuttosto che di volumi, preferisco parlare di movimenti. Infatti sulla copertina, sotto il titolo e l’illustrazione, c’è scritto “Primo movimento”. Questo primo movimento è a sua volta composto da due racconti, “L’eleganza matta” e “Vertigini e stravedimenti”, che esplorano le stesse tematiche e ne rappresentano il lato A e il lato B: “L’eleganza matta” mantiene un carattere più aereo, “Vertigini e stravedimenti” va più in profondità. Ci sono gli stessi personaggi principali (Mic e Sam) e la stessa voce narrante (Mic), a cui si aggiungono via via altre figure. Alcune di queste non compaiono un’unica volta, ma le seguiremo per un po’ di tempo, come succede con la signora Adriana, che si affaccia nell’“Eleganza matta”, torna da protagonista in “Vertigini e stravedimenti”, e sarà presente anche nel secondo movimento. Non è però un progetto definito a priori, alla J.K. Rowling, tanto per citare un famosissimo caso, che ha iniziato a scrivere la saga di Harry Potter avendone già in mente l’intero sviluppo. Sto lavorando al secondo movimento e ho qualche spunto e qualche suggestione per il terzo, ma nulla è ancora deciso, nemmeno la lunghezza complessiva, per cui chissà, potrebbe continuare per decenni o anche finire il prossimo anno… Come il primo, anche il secondo movimento sarà composto da due racconti lunghi, che usciranno prima di tutto in ebook, mentre la versione cartacea verrà pubblicata solo quando il movimento sarà completo. Ho deciso dunque di sfruttare il digitale e il cartaceo in due modi differenti: il digitale mi permette di rendere disponibili anche le tappe intermedie (che sono comunque pensate per essere autosufficienti, in sé concluse).

Trovo che la tua idea, ambiziosa e interessante, possa essere frutto solo di una mente artistica ampia e dotata. Tant'è che non ti sei limitata alla pubblicazione di un libro, ma anche alla composizione del testo di una canzone (che si trova nel libro stesso) e che possiamo ascoltare a questo link. Come ti è venuta questa idea?
In “Vertigini e stravedimenti” c’è una locomotiva d’epoca che percorre la pianura padana da Torino a Venezia. A bordo ci sono sei artisti e a ognuno di loro un festival ha affidato il compito di scrivere un pezzo che sia in tema con il titolo “Un viaggio nel tempo e nell’identità”. Uno dei sei artisti in questione è un cantautore. Ho immaginato che lui, piuttosto che buttare giù qualche riga in prosa, preferisse ragionare in termini di canzone e che finisse per scrivere i versi di un brano. Ho dunque provato a cimentarmi in quest’impresa ed è così che è nato il testo di “Stravedimento”. Però, per essere sicura che quanto avevo scritto potesse realmente funzionare (io purtroppo non ho una grande predisposizione musicale), ho chiesto aiuto a un amico cantautore, Alessandro Arbuzzi. Alessandro mi ha risposto: “C’è un unico modo per esserne certi: proviamo a musicarlo”, che è quello che ha fatto. Dato che il risultato ci è piaciuto, un caldissimo giorno di luglio ci siamo chiusi in una saletta di registrazione, per cominciare a dare una prima forma alla canzone, in attesa di ulteriori sviluppi...

Non ancora soddisfatta, dal progetto è sorto anche un brevetto industriale. Beh! Questa cosa mi incuriosisce oltre ogni limite. Ci puoi dire, a grandi linee, in cosa consiste e come si lega al progetto stesso?
Nel libro ci sono le cabine spalma-crema: sono al centro dell’“Eleganza matta”, che è ambientato in un caldo weekend di fine maggio in uno stabilimento balneare, e tornano in “Vertigini e stravedimenti” (anche se in forme diverse, vale a dire in un’installazione alla Biennale e in un videogioco). Le cabine spalma-crema sono simili a degli autolavaggi in miniatura ma le spazzole al loro interno, invece di lavare le macchine, spalmano la crema solare sul corpo delle persone che vi entrano. È un’idea che è venuta a me e Valeria Ravera, nata da una battuta detta per scherzo e diventata poi un’immagine via via più precisa, e che io mi sono divertita a trasformare in un’invenzione letteraria. Scrivendo “L’eleganza matta” ne ho immaginato fin i più piccoli dettagli, e quando poi alcune persone hanno letto il racconto e hanno saputo come era nata l’idea delle cabine hanno incitato me e Valeria a brevettarle. Non è però possibile depositare una semplice idea, bisogna presentare un progetto vero e proprio, cosa che francamente ci sembrava al di fuori della nostra portata, dato che nessuna di noi due ha competenze tecniche in materia. Però ormai la cosa aveva cominciato a girarci in testa e, come ai tempi del Principe costante, ancora una volta ha avuto il sopravvento il motto “Tentar non nuoce”. Abbiamo dunque fatto ricerche su come si presenta un brevetto, tra regole scritte e regole non scritte, abbiamo studiato i meccanismi e cercato i termini tecnici, abbiamo coinvolto un’amica che ci ha aiutato a fare al computer i disegni da allegare e abbiamo inviato la nostra richiesta all’Ufficio Marchi e Brevetti del Ministero dello Sviluppo economico. Ci abbiamo lavorato seriamente ma l’abbiamo preso come un gioco, un’incursione e un’esperienza in un ambito a noi sconosciuto. E a febbraio di quest’anno, due anni e mezzo dopo la presentazione della domanda, ci è arrivata la notizia che il brevetto ci è stato concesso. Le cabine spalma-crema da invenzione letteraria si sono trasformate in un brevetto per invenzione industriale, con il nome ufficiale di cabine di fotoprotezione con spazzole spalmanti. Ora rimane da scoprire se prima o poi arriveranno su una spiaggia che non sia quella dell’“Eleganza matta”…

E ora veniamo al libro che hai pubblicato a maggio 2016 e che si intitola: La vertigine del caso. Un riuscito connubio tra racconto, romanzo e poesia. Per certi scritti diventa particolarmente difficile catalogarli in un determinato genere, nel caso del tuo si può fare? Se sì, a quale genere appartiene?
Ecco, io in effetti faccio difficoltà a catalogarlo. “L’eleganza matta” e “Vertigini e stravedimenti” possono essere definiti “racconti lunghi”, è una descrizione che preferisco a quella di “romanzi brevi”, la trovo più calzante. Però non definirei “La vertigine del caso” una raccolta di racconti. Per questo parlo di lato A e lato B, perché i due racconti, pur mantenendo una loro autonomia, acquistano completezza di significato se letti come due parti di uno stesso volume e il volume è tale solo se composto da queste due parti che vanno perciò a formare un tutt’uno. Forse il progetto totale potrà essere definito romanzo, forse già questo primo movimento può essere definito tale, un romanzo fatto di due racconti. Non so. L’unica categoria in cui mi riconosco senza difficoltà è quella della narrativa letteraria. Per il resto non mi dispiacerebbe che fosse qualcun altro a trovare o a inventarsi la definizione più calzante.

A grandi linee, ci racconti la sua trama? 
Qua e là nell’intervista ho già svelato alcuni elementi. Ad esempio, che “L’eleganza matta” è ambientato in una località di mare. È là che Mic e Sam si concedono un weekend all’inizio della stagione estiva, per scoprire cosa sono queste famose cabine spalma-crema di cui hanno tanto sentito parlare. Cosa siano qui l’ho già raccontato, ma quello che nel libro è fondamentale è l’esperienza sempre un po’ cangiante e totalmente personale che ne fa Mic. “L’eleganza matta” restituisce quest’esperienza che diventa anche un’esplorazione della creatività, arricchita dall’incontro con una serie di persone conosciute in spiaggia, ad esempio un bimbo che dà a Mic un’interpretazione ancora diversa delle cabine, l’inventore stesso delle cabine spalma-crema, che è un ingegnere islandese impegnato a fare il tour degli stabilimenti balneari in cui è presente la sua invenzione, e la signora Adriana, una signora settantenne che cerca di fare amicizia con Mic e Sam, nonostante la ritrosia di Mic. “Vertigini e stravedimenti” è il racconto di un altro piccolo viaggio, questa volta a Venezia e in compagnia della signora Adriana, che nel frattempo ha vinto le resistenze di Mic. C’è una locomotiva a vapore che blocca i binari la sera che Mic, Sam e la signora Adriana stanno raggiungendo in treno la città lagunare. Come si scoprirà in seguito, i sei artisti che erano sul treno d’epoca (e a cui ho già accennato in relazione alla canzone) sono scomparsi nel nulla. “Vertigini e stravedimenti” alterna lo sguardo di Mic, che sceglie di andare a Venezia perché per una domenica i canali saranno nuovamente aperti a chi ci si vorrà tuffare dentro, alle voci dei sei artisti, al fantasma di Ettore Majorana, alle riflessioni della signora Adriana, spalleggiata da Sam, fino alla sintesi finale quando Mic nuota nei canali veneziani e fa esperienza di quello “stravedimento” di cui parla la canzone.

A quale pubblico presumi possa essere rivolto? Quale vorresti principalmente conquistare?
Devo confessarti che non mi pongo preclusioni in tal senso. Non per ambizione sfrenata, ma perché non immagino una divisione per età, genere, professione, grado d’istruzione. Cerco semplicemente un lettore che abbia voglia “di essere e di fare” davvero il lettore, che significa stare al gioco e allo stesso tempo mettersi in gioco.

Per coloro che, nonostante la tua ottima presentazione, non si fossero ancora convinti a leggere La vertigine del caso, cosa potresti aggiungere? 
Che la mia scrittura ha un tocco lieve e dentro questa lievità trovano rifugio un sacco di cose.

Ora siamo giunti alla fine. Non mi resta che ringraziarti per la tua disponibilità e farti un grosso in bocca al lupo, non solo per questa tua prima pubblicazione, ma per una totale e soddisfacente realizzazione di tutto il tuo progetto.