mercoledì 23 novembre 2016

Ragazzo con chitarra

Il ragazzo ha la chitarra e basta questo a renderlo bello.
Non so quanti anni abbia.
Ha la barbetta corta, gli occhi febbrili, i jeans e una maglietta rossa un po’ stinta.
Ha quell’età indefinita che parte dai venti e non si ferma più.
Si muove con la chitarra, avanti e indietro per la carrozza, su e giù dal treno, come se la chitarra fosse una penna, una matita, una cosa piccola da infilare in tasca, priva di ingombro, che non dà impaccio. L’impaccio forse subentra quando la chitarra non c’è, ed è per questo che il ragazzo la porta con sé, ed è certo questo a renderlo bello.
Mentre passa con le mani sulle corde senza emettere suono se non nella sua mente, mentre il treno percorre una pianura piatta e familiare e noi stiamo qui dentro con i nostri pensieri a tracciare una traiettoria per questo viaggio, per un attimo ho l’inquietante sensazione che tra poco sarà troppo tardi. È un pensiero netto, una consapevolezza improvvisa o magari solo un immotivato timore, ma ho l’inquietante sensazione che tra poco sarà troppo tardi, e che quando succederà nemmeno me ne accorgerò. Non me ne accorgerò eppure perderò densità, gli sguardi degli altri mi sfioreranno appena, e il ragazzo con la chitarra non mi vedrà. Passerà e ripasserà con le dita sulle corde, alzerà gli occhi su di me, mi sorriderà, fermerà le mani per dirmi qualcosa, per chiedermi le parole di una canzone che ora gli sfuggono, come in questi giorni ha già fatto, ma non mi vedrà. Sarò non io, ma una persona tra le tante che avrebbe potuto trovarsi su questo treno. Sarò io come avrebbe potuto essere qualcun altro, senza differenza. Potrò alzarmi, cantare a voce alta, ridere, accennare qualche passo di danza o recitare alcune delle tante parole imparate a memoria per lavoro o per passione, e lui mi guarderà, sorriderà, chiacchiererà con me e già mi confonderà con chissà chi. Saranno finiti gli istanti di pienezza, quei grumi del tempo in cui tutto converge in un momento, in un luogo, in una persona, e quella persona sei tu. Io invece ho la netta, dolorosa sensazione che mi ritroverò inchiodata per sempre qua, senza più scintille sui binari, senza stridore di freni e imprevisti dietro la curva. Niente più andare, conoscere, vedere, condividere, parlare, leggere, ridere, osservare, cercare, stupirsi, a volte anche annientarsi, e dopo ancora andare, vedere, conoscere, confrontare, chiedere, raccontare a persone che vogliono ascoltare, persone che ancora ti vedono prima di svanire, perché forse c’è un momento in cui poi si svanisce, ci si mescola ai vapori di un treno d’epoca che procede emettendo sbuffi, d’improvviso inconsistenti e non più tutti d’un pezzo.
Ma su questo treno che attira gli sguardi e ci piazza sotto una lente d’ingrandimento, su questo treno carico di storia, “Sembrava il treno anch’esso un mito di progresso lanciato sopra ai continenti”, che porta noi come prima altre generazioni e ci racconta chi eravamo prima di essere quel che siamo, “Incontrarvi seduti sopra quel treno, tutti e quattro avevate vent’anni in meno, come in fondo ad un buco che dà nel tempo”, e ci ammonisce sul passare degli anni e l’affievolirsi delle speranze, “Non si può più fumare sul treno regionale, non c’è più tempo, tu lo sai, di tornare, cos’è successo intorno mentre li lasciavamo fare, guarda com’è diverso il mondo che un tempo ti era uguale”, su questo treno ora tutto converge come in un grumo del tempo e so che questo è il mio momento, l’attimo da non fallire, quello in cui non mancare.
Mi giro e chiedo al ragazzo con la chitarra se ha notato che le canzoni che parlano di treni sono quasi sempre canzoni di nostalgia e rimpianto, di qualcosa che è passato o non è mai avvenuto, di possibilità perdute. Anche la tua sarà così?, gli domando. Perché invece sarebbe bello sovvertire la norma e invertire la rotta.
Mi piacerebbe dirgli che io non voglio essere una possibilità perduta, e non voglio ritrovarmi domani a cantare “Ah, felicità, su quale treno della notte viaggerai, lo so che passerai ma come sempre in fretta, non ti fermi mai” e nemmeno “Ho preso qualche treno, qualche nave, qualche sogno, qualche tempo fa”. Che il treno su cui siamo è una direzione e le direzioni vanno imboccate, le strade percorse, il mondo esplorato. Che come sempre non sappiamo dove porterà, ma non voglio che sia qualcosa di deciso da altri, a priori, con un inizio ben definito, un percorso stabilito, e un altrettanto preciso punto di arrivo. Voglio che questo treno sia la giovinezza senza fine di chi pensa che non c’è vita se non c’è, continuamente, stupore e scoperta. Che questo treno sia la nostra giovinezza, non quella che comincia oggi ma quella di chi ogni giorno ricomincia dimenticandosi invariabilmente le date e confondendo i giorni. Di chi, decenni dopo, porta ancora gli stessi vestiti.
Vorrei dirgli solo questo adesso. Che ci immagino così, tra trent’anni, con i jeans e la maglietta rossa un po’ stinta, i leggings neri e la canotta viola.

(da La vertigine del caso/Vertigini e stravedimenti)

lunedì 14 novembre 2016

Recensione de La vertigine del caso su Letture Metropolitane

«Ogni tanto capita di trovarsi di fronte ad esperimenti letterari insoliti ed interessanti, ed è questo il caso.» Flavia Capone di Letture Metropolitane così inizia la sua recensione de La vertigine del caso.

Ogni tanto capita di trovarsi di fronte ad esperimenti letterari insoliti ed interessanti, ed è questo il caso. Vanessa Chizzini si cimenta in questo “primo movimento” composto di due racconti lunghi (“L’eleganza matta” e “Vertigini e stravedimenti”) che hanno come protagoniste Sam e Mic, due amiche da sempre, di quelle che si conoscono come le proprie tasche e si leggono negli occhi, supportate dalla presenza della signore Adriana, elegante ultrasettantenne allegra e divertita, che vive nel ricordo del marito scomparso senza però mai cadere nella malinconia.
In “Eleganza matta” facciamo la conoscenza del nostro terzetto, durante una rilassante vacanza al mare, resa più movimentata dalla presenza di una strampalata (ma utilissima, va detto) invenzione ad opera di un enigmatico islandese: le cabine spalma-crema, che affascinano particolarmente Mic, già portata per carattere ad investire di significati esistenziali anche i più semplici aspetti della vita quotidiana.
Cosa si nasconde dietro l’invenzione di queste cabine? E come mai da aggeggio da spiaggia si trasformano in ispirazione per un’opera d’arte della Biennale di Venezia? E soprattutto cosa c’entra quel treno d’epoca vuoto piantato sui binari?
Come vedete c’è parecchio materiale per i curiosi, ma anche per coloro che amano riflettere sui sentimenti e osservare la realtà con un’attenzione e uno sguardo più profondo di quanto forse siamo abituati a fare.
VOTO 20 FERMATE: Un libro all’apparenza semplice, ma che richiede una certa attenzione, soprattutto nelle parti dove le riflessioni della protagonista Mic prendono il sopravvento. Dedicategli qualche fermata in più per andare oltre alla superficie della storia.
CITAZIONE: “Felice ed inaspettato, ecco. Quando fa la sua comparsa qualcosa di nuovo che precede o abbatte qualsiasi nostra aspettativa. Qualcosa di bello che ci coglie impreparati.(…) L’incontro con il mio povero marito per me è stato così. Ecco perché io adesso vivo lì, nella cabina, nella stanza del ricordo. Seduta con le mie foto, gli oggetti di un tempo e i pensieri di un’altra epoca(…)Che vita dovevo rifarmi, se ne avevo già una? Non ho mica smesso di vivere io. Solo che vivo con un morto. E allora fa impressione.”
Flavia Capone

http://letturemetropolitane.it/…/la-vertigine-del-caso-pri…/